Redazionale tratto da: Formaggi & Consumi
Marzo 2013
Roberto Brazzale, membro dell’High level group forum, affronta i temi caldi in sede comunitaria.
Fra cui Pac, Pacchetto latte e pratiche sleali. Senza risparmiare critiche. Anche dure.
Conferire alla catena alimentare la massima efficienza possibile. E’ questo l’obiettivo dell’High level group forum dell’Ue, istituito dalla Commissione nel 2010 con il compito di individuare la strada migliore, anche normativa, per conseguire questo fondamentale risultato. Il Gruppo è composto da 45 membri, tra ministri dell’agricoltura, aziende di produzione, retail, Ong e associazioni di categoria. E vede anche la presenza di otto membri italiani, tra cui Roberto Brazzale, presidente dell’omonimo gruppo. “Quella dell’High level group forum è una grande responsabilità, che ci impone di parlare chiaro, senza ipocrisia”, commenta Brazzale. Il 19 dicembre scorso i membri del Gruppo si sono ritrovati, davanti alla Commissione, per fare il punto della situazione sulla filiera agroalimentare in Europa. Ne parliamo proprio con Roberto Brazzale.
Qual è, oggi, il quadro europeo rispetto alle tematiche della filiera agroalimentare?
Dopo la coraggiosa riforma della Pac lanciata negli anni 2000, la Ue sembra essersi spaventata del suo stesso coraggio ed è tornata ad una politica dirigista ed interventista che minaccia l’efficienza ed il sistema di mercato fondato su pluralismo e concorrenza equilibrata. La pressione dei grossi poteri sindacali agricoli e cooperativistici ha condizionato in modo evidente l’azione della Ue, che rischia di perseguire interessi particolari anziché generali. Ne abbiamo già un esempio concreto.
A cosa si riferisce?
La recente attuazione in uno stato membro, l’Italia, dei principi contenuti nel cosiddetto Pacchetto latte, dimostra tutti i vizi contenuti in quel regolamento, nato a fronte di una spinta emotiva congiunturale, la volatilità 2008, e finito per modificare la struttura del mercato e distorcere la concorrenza.
Perché?
Il Pacchetto latte è l’esempio di come non si dovrebbe legiferare. L’introduzione dell’obbligo di forma scritta a pena di nullità dei contratti ha stravolto consuetudini in vigore da secoli, fondate sulla rapidità e flessibilità degli accordi verbali e “de facto”, assurdamente sanzionati da nullità. Inoltre, sta provocando infiniti e gravi problemi di coordinamento con il diritto comune, come un elefante nella cristalleria. Inoltre, è stato stravolto l’equilibrio delle posizioni negoziali tra produttori e trasformatori, sul presupposto fallace che la concentrazione dell’offerta e la dittatura delle Op (Organizzazioni produttori) possa portare benefici nel lungo termine ai produttori. Pia illusione. Porterà solo oligopoli politicizzati ed inefficienti. Ha prevalso il vecchio vizio di chiedere all’Unione europea di entrare attivamente sul mercato rafforzando il potere negoziale della parte agricola, anziché colpire le pratiche anticoncorrenziali ovunque esse si manifestino. Altro grave attacco all’efficienza: il pacchetto si fonda sul principio di preferenza per il sistema cooperativo di grandi dimensioni, un errore ed un orrore che mette a rischio la straordinaria ricchezza imprenditoriale rappresentata dall’industria non cooperativa, dalle Pmi, anche cooperative, e dall’artigianato.
Il pacchetto latte sta portando qualche beneficio, a suo avviso?
No. Ciò che è più grave è che tale normativa non porta alcun vantaggio alle categorie che si pretendeva di tutelare e sta provocando una grave asimmetria tra le legislazioni degli stati membri.
E per quanto riguarda gli effetti sul mercato?
Il Pacchetto latte non riconosce la naturale fisiologia del mercato e la sua preziosa funzione. E pretende, con un errore fatale, di condizionare la dinamica dei prezzi attraverso forme negoziali rigide. Ingenua illusione che, evidentemente, ottant’anni di comunismo non sono bastati a sconfiggere. Da ultimo, esso lascia eccessivo spazio alla legiferazione degli stati membri, con il rischio di interventi improvvisati e non qualificati, come l’esperienza italiana insegna.
Pacchetto latte, articolo 62. Cosa succede ai pagamenti?
L’intervento dell’art. 62 nasce da propositi encomiabili ma è stato realizzato in modo improvvisato ed inefficace, complicando non poco il quadro vigente e la vita delle imprese. Problemi ed incertezze sono finora decisamente superiori ai benefici ed il genio italico ha scovato mille modi per aggirare gli obblighi. Ricordiamoci pure che il peggior pagatore d’Italia è lo Stato, lo stesso che dispone con tanta risolutezza dei denari degli altri.
Ma allora, come intervenire rispetto al tema delle pratiche sleali?
Non ha alcun senso rinviare alla volontà delle parti in causa la disciplina delle pratiche sleali, quando una di queste volontà è viziata dall’abuso di posizione dominante dell’altra. In tali casi è lo stato che deve con i suoi autonomi interventi di controllo, ed eventuale sanzione, creare condizioni di rispetto dei termini, considerato che la parte sotto minaccia difficilmente attiverà denunce. Ci sono molti operatori della Grande distribuzione che operano correttamente. Anche loro sono indirettamente danneggiati dall’abuso operato dai concorrenti sui fornitori. In ambito Ue si può prendere subito l’iniziativa in materia, vista la prospettiva irrealistica di discipline volontarie. Ma lo si deve fare senza creare nuova burocrazia.
In che modo, quindi?
Tutte le pratiche sleali (unfair) sono già illecite perché anticoncorrenziali ai sensi delle norme antitrust vigenti negli stati membri. L’impianto normativo esiste già, ed anche le strutture amministrative, che sono le autorità Antitrust dei singoli stati membri. La Ue dovrebbe decidere misure che tengano sotto pressione le autorità statali affinché vigilino sulle relazioni contrattuali con efficacia e severità, cosa che fino ad oggi hanno omesso di fare. In Italia è aperta dal novembre 2010 un’indagine dell’autorità Antitrust in materia, basata su migliaia di informative. A tutt’oggi non ne sappiamo più nulla. Non abbiamo bisogno di nuovi regolamenti e nuovi uffici. Abbiamo bisogno di volontà politica, coordinamento, impulso e vigilanza.
Come è cambiato il quadro europeo con l’approvazione del Pacchetto latte?
Dopo il Pacchetto latte, lo spazio economico della Ue non è diventato per nulla più efficiente, il potere contrattuale è rimasto esattamente dove stava prima, gli scambi sono diventati più burocratizzati e la paura di sanzioni frena gli operatori. La volatilità dei mercati continua ad essere la stessa di prima, perché dopo l’abolizione degli interventi Ue il mercato è tornato alla sua fisiologia.
Che conclusione ne trae?
Queste esperienze, gravissime ed inequivocabili, dimostrano come la Ue sia sulla strada sbagliata e con questa politica stia facendo perdere di efficienza la catena alimentare. L’Unione sta venendo meno alla sua funzione storica di salvaguardare l’economia di mercato ed i suoi naturali meccanismi. Purtroppo, l’aumentato ruolo del parlamento europeo nella fase legislativa non ha soltanto reso interminabili i processi decisionali, ma ha anche aperto la strada alla demagogia ed al condizionamento da parte di movimenti organizzati che condizionano il consenso, anche contro l’interesse generale. E ciò senza un reale vaglio degli elettori, che delle attività degli organi comunitari conoscono, praticamente, nulla.
E guardando al di fuori dei confini del Vecchio continente…
Il confronto con i sistemi produttivi delle altre macro regioni mondiali concorrenti, come Nord e Sud America, Oceania, Asia, dimostra chiaramente che siamo sulla strada sbagliata. La riforma della Pac, ad esempio, è condizionata più dalla difesa di interessi di bottega dei singoli stati membri che dalle esigenze di efficienza e competitività dell’intero sistema. Le nostre quote sul mercato mondiale rischiano di essere sempre minori, proprio mentre la domanda mondiale è in continua crescita. Ad aggravare il quadro si aggiungono le politiche di ostacolo all’innovazione tecnologica che la Ue continua a perseguire, sotto il ricatto irresponsabile di movimenti organizzati aventi il chiaro scopo di ottenere protezionismo per la propria inefficienza e per le proprie rendite. La recente vicenda degli inquinamenti da aflatossine o da nitrati dimostrano l’urgente necessità di aprire le porte all’ innovazione tecnologica.
Qual è la soluzione, a suo avviso?
Urge un’autocritica di carattere politico. Una maggiore indipendenza dalle pressioni delle lobbies, una più chiara visione di lungo termine, aderente ai principi dei trattati e non schiava delle pressioni contingenti. Abbiamo bisogno di meno regolamenti e meno burocrazia. Abbiamo bisogno di una politica più alta, più coraggiosa, ispirata ai principi di concorrenza e libero mercato, vera garanzia per il consumatore ed il cittadino.
Alice Realini