Redazionale tratto da: Formaggi & Consumi
Luglio 2011
L’Idf world summit, in scena dal 15 al 19 ottobre a Parma, affronta i temi della sicurezza alimentare sostenibile nel lattiero caseario.
A tu per tu con Roberto Brazzale, membro del Forum ad alto livello per un miglior funzionamento della catena alimentare dell’Ue
“Trovo che il pacchetto latte sia intempestivo, dannoso per tutti e in palese contrasto con i principi ispiratori della riforma della Pac. E’ un provvedimento legato alla cultura dirigista e statalista della Francia e di quei paesi, come l’Italia, che ne seguono l’impostazione”. Non usa mezzi termini Roberto Brazzale, consigliere dell’omonima azienda di famiglia e membro del Forum ad altro livello per un miglior funzionamento della catena alimentare dell’Unione europea. Che incontriamo proprio negli uffici dell’azienda, silver sponsor di Summilk, a Zanè, in provincia di Vicenza, circondato dalle foto di famiglia, che raccontano una storia legata a doppio filo a quella del lattiero caseario italiano. L’azienda, infatti, è protagonista del settore fin dal 1837. Ed è tra i principali sponsor della prossima edizione di Summilk 2011. Con Roberto Brazzale affrontiamo alcuni dei temi più scottanti del settore, in Italia e nel mondo.
Si avvicina Summilk. Qual è l’importanza di questo appuntamento, che si tiene quest’anno proprio in Italia?
Il Summilk offre all’Italia, dopo oltre cinquant’anni, l’opportunità di mostrare ai più qualificati operatori mondiali quali straordinari risultati la nostra zootecnia e la nostra industria di trasformazione siano riuscite a raggiungere. E’ una vetrina sul mondo.
Sostenibilità e sicurezza alimentare sono i temi al centro di questo incontro. Ritiene che, in Italia, queste problematiche siano avvertite dal settore?
La sicurezza alimentare è ormai da molto tempo al centro dell’attenzione degli operatori, che sono riusciti a perfezionare un sistema agroalimentare che offre una garanzia assoluta al consumatore. Mai come oggi l’alimentazione è stata sana e sicura. Riguardo alla sostenibilità, essa è declinata in vario modo: dalla riduzione dell’impatto ambientale dei processi produttivi a una riduzione del carico animale per ettaro. Purtroppo il nostro paese ha una superficie agricola molto pregevole ma decisamente scarsa, e ciò limita la possibilità di realizzare modelli agroindustriali sostenibili basati su criteri innovativi. Il nostro gruppo, per realizzarli, ha scelto la Moravia, in Repubblica Ceca, dove le condizioni ambientali e territoriali sono ottimali e lo permettevano.
Il pacchetto latte, approvato di recente. Cosa pensa di questo provvedimento?
Ritengo sia intempestivo, dannoso per tutti e in palese contrasto con i principi ispiratori della riforma Pac. E’ un tentativo mal riuscito di dare una risposta alle nuove dinamiche di mercato innescate dall’abolizione degli interventi comunitari, che si sono manifestate con la spiccata volatilità dei prezzi degli anni recenti. Il guaio è che il “pacchetto” è ispirato alla cultura dirigista e statalista della Francia e di quei paesi, come l’Italia, che ne seguono l’impostazione.
E invece la Pac?
Al contrario, la riforma della Pac era giustamente ispirata alla cultura di mercato dei paesi nordici, quella di cui abbiamo assoluto bisogno per riuscire a competere in un mondo sempre più aperto. Con il “pacchetto latte” anziché promuovere l’efficienza delle aziende agricole, quanto mai necessaria, ci si preoccupa di distorcere per legge i principi della concorrenza per garantire agli allevatori un inaccettabile strapotere negoziale a danno dell’industria. Prevedere l’obbligo di contratti a lunga durata è come bloccare il mercurio nel termometro: come cogliere poi la febbre vera?
E la volatilità dei prezzi?
La volatilità dei prezzi è solo la fisiologia di un mercato non più drogato o anestetizzato dagli interventi. Ad essa si è imputata ogni nefandezza, anziché riconoscerle la funzione preziosa di indicatore di scarsità o abbondanza, che aiuta a correggerne i picchi. Nessuno ammette che, dal 2007, i prezzi medi della materia prima sono mediamente molto più alti di quando esistevano gli interventi. Anziché irrigidire la catena, la Ue dovrebbe preoccuparsi di far correre meglio le variazioni di prezzo lungo la stessa, magari puntando lo sguardo alle rigidità dei listini imposte dalla Grande distribuzione ai propri fornitori. I trasformatori rischiano di venire schiacciati tra favori legislativi agli allevatori e abusi di posizione dominante della distribuzione.
Lei è membro del Forum ad alto livello per un miglior funzionamento della catena alimentare. Quali gli obiettivi di questo Forum?
Questo Forum è frutto di una felice intuizione del vice presidente Ue e commissario all’industria, Antonio Taiani. Raccoglie quattro diverse commissioni (agricoltura, industria, mercato interno, salute e consumatori) ed otto ministri dell’agricoltura. Si compone in tutto di 45 membri, in rappresentanza degli Stati e delle aziende europee che operano nel campo della produzione, lavorazione e distribuzione di prodotti alimentari, nonché associazioni professionali e organizzazioni non governative in rappresentanza degli interessi dei cittadini. Lo scopo è quello di operare per il miglior funzionamento della filiera alimentare. E varare un programma di lavoro in grado di aumentare la competitività e promuovere pratiche contrattuali migliori nel settore alimentare. Il Forum sta altresì dando seguito alle raccomandazioni del precedente High level Forum sul latte.
Qual è l’importanza di questo Forum?
Si tratta di una iniziativa preziosa della Com- missione, che potrà aiutare una Ue che appare in difficoltà. L’Unione sembra infatti precipitata in un preoccupante cul de sac di lentezza, indecisioni- smo e demagogia, specialmente dopo l’attribu- zione al Parlamento europeo di un ruolo chiave nella fase di produzione normativa, a discapito della Commissione stessa. Troppa burocrazia, troppi passaggi, eccesso di interferenza pubblica. E i concorrenti internazionali, intanto, se la go- dono su nuovi e vecchi mercati.
Ci sono tematiche che l’Italia, in modo particolare, sta portando avanti in quella sede?
Al mondo politico italiano giustamente sta molto a cuore il sistema dei prodotti tipici, l’unico in grado di produrre un valore aggiunto adeguato a sostenere le nostre produzioni agricole, di alto livello qualitativo ma penalizzate da costi di produzione decisamente non competitivi. Una cultura chiusa all’innovazione e oggettive penalizzazioni strutturali spingono i nostri costi a livelli che possono essere compensati solo dalle capacità straordinarie dell’industria di trasformazione di creare formaggi unici al mondo.
Etichettatura, regolamentazione dei volumi produttivi per le Dop. Questi alcuni dei temi più caldi che interessano il settore in questo momento. Qual è la sua opinione?
L’obbligo di etichettatura di provenienza delle materie prime è quasi irrealizzabile dal lato pratico, e rischia di diventare strumento di denigrazione sleale in mano ai vari protezionisti locali, in contrasto con i principi comunitari e della leale concorrenza. Chi vuole già può vantare la provenienza dei propri prodotti, e non solo attraverso i sistemi delle Dop o Igp. Noi, per esempio, lo abbiamo già fatto con lo stesso brand “Gran Moravia”. Poi, per l’Italia, paese strutturalmente deficitario, rischia di provocare un’ulteriore “deindustrializzazione”, spingendo all’estero le trasformazioni che oggi si eseguono in Italia con materia prima anche comunitaria. Dobbiamo ricordare che la materia prima è sana e garantita in modo omogeneo in tutta la comunità.
E rispetto al controllo dei volumi produttivi?
Credo che l’adeguamento dei volumi produttivi delle Dop alla domanda di mercato e i meccanismi della contribuzione differenziata siano preziosi per garantire la qualità, la tipicità geografica e non contrastino con le normative antitrust. L’attuale fase di mercato sta dimostrando che la produzione delle Dop reagisce rapidamente al prezzo e va a compensare momentanei sfasamenti tra domanda e offerta sul mercato anche in presenza di misure di orientamento produttivo in funzione della qualità. Se pensiamo, poi, che i prodotti equivalenti non Dop rappresentano una fetta notevole del mercato possiamo esser certi che il consumatore è al riparo da rischi di cartello. Per il resto ha solo vantaggi. Mi auguro che la Ue colga questo aspetto decisivo e accetti le richieste del nostro paese.